Giuseppe l’Europeo

In occasione del 9 Febbraio, anniversario della Repubblica Romana (1849), pubblichiamo questo breve saggio su Giuseppe Mazzini.

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E’ ben vivo in Mazzini (nato a Genova il 22 giugno 1805) il senso dell’unità della cultura europea, intesa come sintesi di successivi apporti culturali: ellenismo, romanità, germanesimo, cristianesimo, umanesimo, nuova scienza, illuminismo… Già nel 1829 egli afferma che esiste in Europa una concordia di bisogni e di desideri, un comune pensiero, un’anima universale che avvia le nazioni per sentieri conformi ad una medesima meta, esiste una tendenza europea. La storia particolare delle nazioni sta per finire, la storia europea sta per cominciare.

Solo una ventina d’anni dopo questa convinzione si traduce in un preciso concetto istituzionale. Quando, il 15 aprile 1834, Mazzini fonda a Berna la Giovine Europa, siamo ancora in una fase essenzialmente cospirativa: la santa alleanza dei popoli oppressi, antitesi dello strumento di repressione internazionale usato dal Metternich, non è ancora un progetto istituzionale. Soltanto nel 1848 Mazzini precisa, dalle colonne del suo quotidiano milanese “L’Italia del Popolo”, il concetto europeo in senso istituzionale: Noi vagheggiamo la grande federazione dei popoli liberi, crediamo nel patto delle nazioni, nel congresso europeo che interpreterà pacificamente quel patto. Ma nessuno potrà entrare fratello in quel patto, nessuno potrà ottenere seggio in quel concilio di popoli se non dotato di vita propria ordinata, costituito in individualità nazionale ecc.

Fallito il Quarantotto, di nuovo fuoruscito in Svizzera, ancora ne “L’Italia del Popolo” (rifondata a Losanna) Mazzini si occupa di Europa in modo approfondito e inequivocabile: Tendenza innegabile dell’epoca che si inizia è quella di costituire l’Europa ordinandovi a seconda delle vocazioni nazionali un certo numero di stati equilibrati possibilmente per estensione e popolazione. E questi stati divisi, ostili l’uno dell’altro finché la loro bandiera nazionale non rappresentava che un interesse di casta o di dinastie, si assoceranno, mercé la democrazia, intimamente più sempre. Le nazioni saranno sorelle. Libere e indipendenti nella scelta dei mezzi a raggiungere il fine comune e dell’ordinamento delle loro forze per tutto ciò che riguarda l’interna vita, si stringeranno a una fede, a un patto per tutto ciò che riguarda la vita internazionale. L’Europa dei popoli sarà una fuggendo a un tempo l’anarchia di una indipendenza assoluta e il concentramento di una conquista.

Quest’ultima frase riecheggia il monito polemico mazziniano del 1844, contro l’isolamento britannico: Colui che imprende a dar potenza e prosperità all’Inghilterra senza guardare all’avvenire dell’Europa non sarà grande mai né il benefattore del suo paese e anticipa il dilemma retorico posto a bonapartisti o gollisti di ogni stagione referendaria: sceglieranno per motto l’ognuno a casa sua, ognuno per sé della Francia conservatrice o il miglioramento di tutti per l’opera di tutti, progresso di ciascuno per vantaggio comune?

Si delinea così la seconda fase del pensiero europeista di Mazzini, che da un umanitarismo generico passa a una concreta indicazione europea. E come sempre nel Maestro il pensiero si accompagna all’azione.

Così nel 1850 si fonda a Londra un Comitato Democratico Europeo, di cui Mazzini precisa il programma: La vita delle nazioni è doppia: interna ed esterna: propria e di relazione. Alla universalità degli uomini componenti ogni Nazione spetta l’ordinamento della propria vita: al Congresso delle Nazioni l’ordinamento della vita di relazione internazionale. Dio e il popolo per ciascuna nazione, Dio e l’umanità per tutte. Noi cerchiamo verificare non una Europa, ma gli Stati Uniti d’Europa.

All’Europa Mazzini ha ormai esteso il concetto federalistico, approfondito in Svizzera e partecipe della trasformazione costituzionale elvetica, l’unica riuscita nel Quarantotto (anche se attesa dal passaggio di una guerra civile secessionista nel 1857, fortunatamente poco cruenta), che così egli riassume: Il concetto di una repubblica federativa racchiude l’idea di una doppia serie di doveri e di diritti: la prima spettante a ciascuno degli stati che formano la federazione, la seconda all’insieme: la prima destinata a circoscrivere e definire la sfera d’attività degli individui, la seconda destinata a definire quella degli stessi individui come cittadini dell’intera nazione, l’interesse generale: la prima determinata dai delegati di ciascuno degli stati componenti la Federazione, la seconda determinata dai delegati di tutto il paese. E questo concetto spiega altresì l’opposizione mazziniana alla formula proposta da Gioberti per l’Italia, che non è federale, bensì confederale, proprio come la Svizzera prequarantottesca. L’unitarismo nazionale di Mazzini è anticonfederalista, non antifederalista.

L’accettazione programmatica degli Stati Uniti d’Europa si ritrova nella proposta di costituzione di un partito d’azione europeo (1858) e più tardi (1867) come condizione statutaria per l’affiliazione all’Alleanza Repubblicana Universale.

Dopo il 1861 si apre una terza fase, in cui problema nazionale e problema sociale confluiscono nella visione europea. Nel 1864 Mazzini fonda a Londra, con Marx e Bakunin, la prima Internazionale. Nel 1866 egli riassume i termini della questione europea: Tre grandi fatti contrassegnano l’epoca nuova che sta per sorgere. Il primo visibile più o meno in ogni terra d’Europa è il moto di emancipazione intellettuale ed economico che va svolgendosi nelle classi operaie e trasformerà a poco a poco le condizioni imposte oggi al lavoro, il riparto della produzione e le basi della proprietà. Il secondo è il moto, contrastato invano dalle monarchie, che tende a rifare la Carta d’Europa (…) preminente fra tutti per importanza numerica e geografico-politica è il ridestarsi a coscienza di vita dell’elemento slavo (…) Il terzo fatto è la manifesta tendenza della civiltà europea a conquistare le vaste regioni orientali.

Caratteristica (e profetica) in Mazzini è questa sua inclinazione verso l’elemento slavo, questo suo superamento di occidente e oriente in una visione federativa unitaria dell’intero continente. Nel 1867, riaffermata la priorità del riordinamento dell’Europa, la sovranità delle nazioni libere, eguali, associate, Mazzini parte dalla redenzione dei popoli slavi per sboccare verso un orizzonte profeticamente mondialista: Il ristabilimento della Polonia, il compimento dell’unità germanica, dell’unità italiana, dell’unità ellenica, la federazione danubiana sostituita all’impero austriaco, una Svizzera orientale sostituita all’impero turco in Europa, l’unione scandinava, l’unione iberica, la libertà per la Francia, gli Stati Uniti repubblicani d’Europa, un congresso internazionale permanente al di sopra di tutti. E Mazzini conclude auspicando l’Alleanza Repubblicana Universale il cui nucleo esiste già negli Stati Uniti d’America.

Definitivamente in rotta con marxiani e anarchici dopo la Comune di Parigi, nel 1871 Mazzini polemizza contro il cosmopolitismo che l’Internazionale interpreta in chiave meramente classista e apolidista: Noi vogliamo gli Stati Uniti d’Europa, l’Alleanza Repubblicana dei popoli. (…) La nazione deve essere il mezzo: la nazione, non il nazionalismo dinastico che si fondò su equilibri o ponderazioni che rinsaldavano gli egoismi rivali.

Fisicamente malato (corroso da un cancro allo stomaco), negli ultimi mesi della sua vita, con l’ampio studio del 1871 “Politica internazionale”, Giuseppe Mazzini restringe il proprio interesse europeistico alla prospettiva politica dell’Italia nel concerto dei popoli, indicando due missioni: l’abolizione del papato come rappresentante del dogma e lo sviluppo del principio di nazionalità (e non di nazionalismo). Si realizzerebbe così, dopo la Roma dei Cesari e la Roma dei Papi, la terza Roma: la Roma del Popolo o meglio dei Popoli. Verso tale obiettivo l’Italia dovrebbe promuovere una lega di stati minori europei stretta a un patto di comune difesa contro le possibili usurpazioni d’una o d’altra grande potenza. E ancora, il vero obbiettivo dominante della vita internazionale dell’Italia sarebbe (…) nell’alleanza colla famiglia slava. Questo motivo ricorre come testamento della politica estera mazziniana, che vede in un’agglomerazione federativa slava comprendente i tre gruppi degli slavi meridionali (sloveni, croati, serbi, montenegrini), degli slavi centrali (boemi, moravi, silesiani, slovacchi) e dei polacchi un potente ostacolo al pangermanesimo guglielmino da un lato e al panslavismo zarista dall’altro.

L’apostolo dell’unità italiana, sempre clandestino in un’Italia dove lo attendono due (o tre, gli storici non sono ancora concordi) condanne a morte; il profeta della federazione europea, sempre esule da una terra all’altra del continente; l’antesignano di una religione moderna, che a un popolo di Dio sostituisca il Dio dei Popoli, parimenti dignitari di una propria missione storica; decede a Pisa il 10 marzo 1872, con un passaporto britannico intestato a tale George Braun di religione israelita.

Valerio Ari

2005 06 22 

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