Partito democratico, non neutro!

di LUCIANA SBARBATI

Articolo pubblicato su Europa, pag 9, venerdì 6 giugno 2008

Dopo la sconfitta elettorale, realisticamente prevedibile, al di là delle speranze riaccese dall’entusiasmo di una campagna giocata più sul confronto sulle persone che non sui temi, nel quale Walter Veltroni sembrava essere in vantaggio, è ora che il Pd decida sul serio cosa fare da grande.
L’accordo elettorale tra Berlusconi e Veltroni ha oramai prodotto una semplificazione del quadro politico oltre l’immaginabile.
Se l’intenzione era puntare al bipartitismo oltre il bipolarismo, sulla cui bontà noi non crediamo sia per le modalità di costruzione del Pd che per il perdurare di una logica di potere Ds+Dl che neutralizza tutto, è giunto il momento di darsi una identità forte di cultura, radici, contenuti, programma e modello sociale, decisamente alternativi al Pdl.
Oggi meno di ieri serve scimmiottare la Forza Italia del ’94, partito tutta immagine, slancio, entusiasmo, che fa fulcro sul leader, tralasciando la valorizzazione del piano ideologico, la definizione dell’identità e dei contenuti. La tattica elettorale di Veltroni in campagna elettorale ha marcato la distanza del Pd dalla sinistra; mai infatti è stata pronunciata la parola socialismo, ma per contro non c’è stato neppure il coraggio di presentarsi davvero come un partito veramente liberaldemocratico.
In questo depotenziamento dell’ideologia l’alleanza con Di Pietro è stata perfetta, ma non ha pagato. Non si è stati capaci di persuadere il centro moderato né la sinistra. Forse una maggiore presenza nelle famiglie politiche storiche (repubblicani, liberali, socialisti e socialdemocratici) con una iniezione alta di storia politica, valori fondanti, avrebbe costituito un fermento attraente per molti settori dell’opinione pubblica informati e preparati, che invece non sono neppure andati a votare o hanno votato, ma senza fare proselitismo.
Berlusconi fece lo stesso errore nel ’94 e nel ’96. Poi ebbe l’idea geniale, incontrando Martens, di entrare nel Ppe, occupando il centro elettorale del paese e acquisendo una nobiltà ideologica che non si sognava e che oggi tiene stretta, sbarrando il passo al Pd verso il centro ed erodendolo senza difficoltà all’Udc di Casini.
Su questo dato c’è la necessità di fare in fretta una riflessione politica, poiché non si può cadere prigionieri nella rete del ragno. Al paese non serve un Pd alla Berlusconi, un Pd neutro. Il governo ombra, che poteva avere una sua legittimità e un serio significato politico se Veltroni l’avesse presentato prima delle elezioni e se anche su di esso si fossero ottenuti i 12 milioni di voti, scelto a prescindere da una seria collegiale analisi politica del dato elettorale e della situazione del paese, rischia di depotenziare le istituzioni democratiche e di mettere in secondo piano l’autonoma attività delle opposizioni in parlamento.
Agli slogan bisogna dare conseguenzialità o si resterà al palo per oltre 15 anni.
La logica di Berlusconi era che «il Parlamento non serve, bastano trenta persone e uno che comanda; il partito sono io, il governo sono io». L’unica cosa che assolutamente dobbiamo evitare di fare è non essere speculari al Pdl, peraltro senza alcun potere e con il rischio di una pericolosa caduta di tonalità politica della rappresentanza parlamentare.
L’opposizione democratica non può ridursi a Di Pietro. Il governo ombra non può essere legittimato da Berlusconi.
La priorità per il Pd è la cultura, è un grande sforzo di recupero di ciò che esso ha macroscopicamente rimosso riappropriandosi nella teoria e nella prassi politica dei valori della tradizione laica e dei principi della cultura cattolica e riformista.
È la sfida dell’identità contro la tattica della deideologizzazione, nella consapevolezza che l’avventura del Pd non solo sta lasciando in ombra la vecchia classe di governo del centro sinistra, ma addirittura fuori da parlamento ciò che era un terzo dell’Ulivo.
Veltroni e il Pd hanno tenuto botta partendo da un 25 per cento di consensi a causa della crisi del governo Prodi, ma oggi non basta. Se si vuole costruire un partito nuovo, se si vuole tornare a parlare al paese, conquistare il consenso del centro moderato e della sinistra riformista, si deve scegliere cosa si vuole essere, in modo chiaro, non solo con le formule, ma anche con i contenuti. Non possiamo diventare i migliori alleati di Berlusconi nel gioco continuo di delegittimazione delle istituzioni. Berlusconi, tra i tanti errori, ha azzeccato la scelta della famiglia politica europea e ha dato un’anima al Pdl.
Veltroni invece a nostro avviso, accrescerà la sua debolezza se continuerà nella pervicace volontà di depotenziare ideologicamente il Pd. Basta, allora, con il partito neutro. Cominciamo a valutare che le elezioni europee sono vicinissime e su di esse, sull’Europa che è e deve essere la stella polare del Pd, apriamo un grande dibattito, consapevoli, e i Repubblicani europei lo sono, che l’ingresso del Pd nel Pse sarebbe la fine di ogni sogno propulsivo.
Lasciamo la tattica spicciola del giorno dopo giorno, apriamo gli orizzonti politici faticosi della strategia prima che sia troppo tardi, prima di non essere più riconoscibili rispetto al resto, prima che il “siete tutti uguali” diventi convinzione.

2 Risposte

  1. Ritengo che questo articolo sia positivo per quel tanto che indica una tendenza da parte della segreteria del MRE di cambiare registro. Va però detto che alcune delle osservazioni in esso contenuto erano fattibili già da prima dell’inizio della scorsa campagna elettorale.
    L’aver operato, in quell’occasione, tenendo anche conto della possibilità di acquisire dei seggi parlamentari ha una sua logica interna rispetto alla quale sono abbastanza critico , ma non vorrei soffermarmi, in questa nota, su tale aspetto. Comunque sia, mi sembra che questo articolo non risolva alcuni dei nodi rispetto ai quali dovrà svolgersi l’azione repubblicana del prossimo periodo.
    Vi è, innanzitutto, da chiarire il ruolo del MRE rispetto al PD. Una chiarezza che dev essere fatta anche per capire se il MRE può ancora essere considerato un partito politico od una sorta di associazione mazziniana a cui è consentito intervenire nel campo della politica e con una preferenza per il centro-sinistra. Scelta che può essere anche interessante, ma che deve essere dichiarata esplicitamente.
    L’altra ipotesi è quella di un MRE che voglia essere partito politico e scegliere in autonomia, a seconda dei suoi deliberati congressuali e di consiglio nazionale, il campo delle alleanze e delle eventuali federazioni a cui aderire. Se si ritiene valida questa seconda ipotesi l’MRE dovrà spiegare perchè dei suoi iscritti hanno partecipato alle votazioni, anche candidandosi, per gli organi del PD. Se qualcuno è favorevole al sistema della doppia tessera che venga precisato , e magari anche se vale solo per il PD o anche per altre formazioni.
    Ma quel che più preoccupa è che non viene risolto il nodo politico; nel mentre si afferma che il PD nonsa scegliere tra via liberal-democratica e quella social-democratica, non si dice quale scelta si ritiene pù opportuna per il MRE. Forse quella mancanza di identità e di capacità di utilizzare potenzialità che le stesse comportano, ha colpito anche lo stesso MRE, Per non sfuggire, a mia volta, a tale nodo mi permetterò di aproffitare della vostra cortese attenzione in una prossima nota (anche perchè temo sempre che si cancelli il tutto).

  2. non mi sembra che il non volere che il PD aderisca all’internazionale socialista risolva completamente il problema in un modo preciso: E poi, questo cosa significa per il MRE? Forse che se il PD non aderisce al socialismo internazionale noi possiamo entrare nel PD, o continuare a farne parte come sembrerebbeda alcuni passi dell’articolo? E come ci collochiamo rispetto all’idea di una fusione tra internazionale socialista e partiti di scuola democratica?
    ( ovviamente non è questa la nota a cui accennavo, ma solo una precisazione che mi è venuta spontanea nel rileggere quanto da me scritto).

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