Il fallimento annunciato della sinistra italiana

di Paolo Arsèna.

Inutile negarlo. Guardiamoci attorno, e vediamo un’Italia a due facce.
A destra, la faccia felice: unita, motivata, speranzosa, dedita a governare con maggiore esperienza e consapevolezza rispetto ai flop del passato, sia propri che della parte avversa.
A sinistra, la faccia depressa e sgomenta. L’Italia che non ha futuro, che non ci crede, che sente il peso della propria impotenza. Divisa, ondivaga, in parte arroccata nella critica sterile e ad oltranza, in lotta per una rivincita impossibile o per un’esistenza negata.
La lunga guerra l’ha vinta la destra. La sinistra l’ha persa e sente l’odore della sconfitta letale. Perché è giunta al capolinea, al suo totale fallimento.

Può sembrare un approccio nichilista e oltremodo impietoso, ma non è così. E le tinte fosche sul futuro del Partito Democratico e di Walter Veltroni ne sono un chiaro indizio.

Ha fallito, la sinistra, e questo fallimento ha radici lontane.
Anzitutto le ha nella sua fisiologica varietà e diversità culturale. C’è sempre stata una sinistra derivata dalle ideologie e dal comunismo; una sinistra di piazza, malpancista e irrazionale; una moderata, di stampo cattolico-solidale; una di progresso, riformatrice, matura.
Ma questa caratteristica di fondo, sulla carta innocua, è diventata fatale via via che la politica ha seguito il suo percorso bipolare, indirizzato da tutti i leader che si sono susseguiti: Prodi, D’Alema, Rutelli, ariProdi, Veltroni.
L’obiettivo primordiale, perseguito testardamente con una sorta di “accanimento terapeutico”,era quello di stare tutti insieme, di cementare il fluido. Risultato: prima quattro governi ballerini in cinque anni, poche riforme e tanti errori tra il ’96 e il 2001, seguiti da una batosta elettorale. Quindi un governo tenuto con lo sputo per un anno e mezzo tra il 2006 e il 2007, infecondo e regressivo nelle riforme, poi crollato miseramente. Con ennesima nuova batosta elettorale.

L’analisi oggi trova tutti concordi. L’Ulivo originale, e poi l’Unione, sono stati un grave errore. Pretendere di tenere insieme programmi incompatibili è stata un’ingenua velleità, un abbaglio che ha contagiato tutti (o quasi). Tanto che il suo ideatore, il luminare Romano Prodi, pur avendo tenuto banco per un decennio intero, è sparito in fretta, dimenticato senza troppi rimpianti.

Ma trovato il cancro e debellata la sua causa, la terapia è stata poi peggiore del male.

Il primario Veltroni, e con lui larga parte del codazzo, ha sentenziato l’opposto. Fare un solo grande partito, capace di comprendere quanta più sinistra (e non) possibile, distruggere gli eventuali competitors, negare qualunque alleanza incompatibile.
Poiché può mutare lo scenario politico ma non le idee e le vocazioni delle sinistre (e degli italiani in genere), in un sistema bipolare questa prospettiva è sicuramente suicida. Perché con una sinistra divisa contro una destra compatta mancano i numeri. A meno di non tentare un’improbabile volata alla conquista di tutto il conquistabile, finendo per perdere in carattere, identità, profilo politico e programmatico. La volata di Veltroni ha convinto solo qualcuno a sinistra, nessuno al centro o a destra, e ha finito per rivelarsi un boomerang: la sinistra nel suo insieme ha perso consistenza e rappresentanza, a vantaggio quasi esclusivo di un contenitore che raccoglie solo un terzo (e non più metà) degli italiani. Una consistenza per di più fittizia (perché fondata sul ricatto del voto utile e non sul voto convinto) come dimostreranno senza ombra di dubbio i prossimi appuntamenti elettorali.

Così oggi si consegnano al demone Berlusconi le riforme serie che la sinistra non ha mai voluto o potuto fare: giro di vite sulla pubblica amministrazione, detassazione intelligente, federalismo fiscale, politica per le infrastrutture, sostegni per la casa, nucleare. E la sinistra finisce per ripiegare sui soliti cliché, che se avevano un senso in passato, oggi evidenziano solo accidia, impotenza e sclerosi politica, rivelandosi controproducenti per tutti, Paese in primis: basti intravedere i danni alla giustizia, indotti dalla reazione alla magistratura militante.

A osservare il dibattito interno al PD, c’è da restare allibiti per la schizofrenia di fondo che lo pervade. Si scontrano due linee uguali e contrarie: da un lato D’Alema che in sostanza dice: “No alle ammucchiate prodiane, sì al dialogo con Rifondazione e Udc”; dall’altro Veltroni che camuffa il mea culpa dicendo “non siamo autosufficienti, ma non ci alleiamo con nessuno” (è di oggi il divorzio nei fatti anche con Di Pietro).
Al di là delle follie estemporanee, il problema che sfugge è chiaro: si vorrebbe mettere in piedi una coalizione di governo diversa dal passato, ma forte, in grado di vincere e convincere; ma questa coalizione non esiste oggi e rischia di non esistere domani, perché manca la materia prima.
Il fatto è che si continua a guardare il dito e non la luna. Cioè si continua a pensare di poter cambiare assetto restando in una logica bipolare.
La luna è invece un’altra cosa. E’ lo sgretolamento della destra e lo strumento utile a questo scopo.
I voti non si inventano, non esistono in astratto. Sono tutti sul campo. E restano oggi divisi tra destra e sinistra, con una maggioranza numerica strutturale a favore della destra (lo dimostrano tutti gli andamenti elettorali) e con una destra più compatta contro una sinistra comunque fisiologicamente rissosa e divisa.
Non l’ha ancora capito, ma di bipolarismo la sinistra muore. Ha galleggiato (e male) finché ha potuto, e ora che l’illusione unitaria si è rivelata miraggio, è destinata ad affondare per sempre.
La soluzione dunque, non finiremo di ripeterlo, sta nello scompaginamento dei poli. Nel sistema multipolare o, quanto meno, tripolare. Al PD deve interessare la nascita e la crescita di un terzo polo, o di un polo liberaldemocratico riformatore, che tolga consensi a destra. Se questo succede, si gettano le premesse per nuove alternative politiche. Se non succede, si finisce per rimestare in quello che c’è. Una minestra che tutti conoscono, e che nessuno vuol più assaggiare.

O il PD comprende questo, o finirà per prendere atto di un fallimento annunciato, e chiudere bottega alla prossima batosta. Sperando allora, che sia la volta buona per ricominciare tutto da zero

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